IDDU – Fabio Grassadonia, Antonio Piazza

Con: Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobulova, Giuseppe Tantillo, Fausto Russo Alesi, Antonia Truppo, Tommaso Ragno, Betti Pedrazzi, Filippo Luna, Rosario Palazzolo, Roberto De Francesco, Vincenzo Ferrera, Maurizio Marchetti, Gianluca Zaccaria, Lucio Patanè

(Italia, Francia; 122’)

(Venezia 81)

La storia del boss mafioso Matteo Messina Denaro e della sua lunga latitanza, favorita pare da apparati dello Stato, è solo il punto di partenza del racconto che, lungi dal voler essere una ricostruzione storica, prende la strada del film di costume su un’Italia del compromesso, del sotterfugio su cui veleggia facile la malavita organizzata.

I registi, infatti, affiancano al famoso boss, bene interpretato da un Elio Germano misurato nei toni quanto spietato nelle azioni, personaggi inventati, spesso al limite della parodia, in un affresco abbastanza godibile e non privo di pregi.

Il racconto sotto traccia sfida lo spettatore a cogliere le tante soluzioni ironiche. Ad esempio il film inizia e finisce con riflessi di immagini; se l’incipit parte dall’occhio di una pecora che riflette l’ambiente in cui sta spegnendosi il padre del boss, la chiusura sarà sull’effetto specchio di una vetrina di un museo ove, in luogo dell’antica statua del “Pupo” (che rappresenta il capo-mafia e il suo potere) è simbolicamente contenuto lo stesso Messina Denaro. Se la statua all’inizio è sepolta in una buca, quando scatterà il tentativo di cattura del boss, nella stessa buca vedremo un agnello sacrificale. Simbolico anche il passaggio di occhiali tra Messina Denaro e il figlio ancora non riconosciuto (consegna di un punto di vista)…

In un contesto talvolta grottesco, il vero protagonista è l’ex Sindaco Catello (Tony Servillo) caduto in disgrazia e appena scarcerato, costretto a collaborare con i Servizi Segreti per incastrare il capo-mafia. Divertente, anche se non tutte le interpretazioni convincono.

Fabio Sandroni