YURT (DORMITORIO) di Nehir Tuna
Con: Doğa Karakaş, Can Bartu Arslan, Ozan Çelik, Tansu Biçer, Didem Ellialtı, Orhan Güner, Işıltı Su Alyanak
(Turchia, Germania, Francia)
(116’)
(Orizzonti)
Nello scorcio degli anni ’90 in Turchia Ahmet, quattordicenne, vive la lacerazione che attraversa il suo paese, diviso tra ritorno del “Keimalismo” modernizzante ma assolutista e richiamo forte alla tradizione religiosa islamica.
Non penetra in lui la coscienza politica, perché è un adolescente preso dalla scoperta di sé e della propria crescita, ma il dissidio che lo caratterizza è lo stesso, ben rappresentato da una doppia appartenenza, ugualmente mal sopportata, al mondo “laico” della scuola privata e moderna che frequenta di giorno e al notturno domicilio “coatto” nello yurt, il dormitorio islamico che dà il titolo al film.
Il nitido bianco e nero usato dal regista per tutta la prima parte della narrazione è già esca polisemica di questa scissione, della difficoltà di Ahmet di trovare il suo posto, come anche della scelta autoriale di Tuna di collocarsi sulla scia di un realismo che scandaglia l’adolescenza sulle orme del F. Truffaut de I 400 colpi.
Non mancano tratti di autobiografismo, poiché il regista stesso ha vissuto per 5 anni in uno yurt, come testimonia il cortometraggio Ayaccabi (2018), quasi “prequel” del film presentato a Venezia.
Questo percorso di formazione “schizofrenico” fa sì che le piccole farfalle, emblema di libertà e causa del passaggio dal bianco e nero al colore, vengano scoperte proprio nello yurt, cupamente rappresentato, nei suoi ambienti labirintici e in costante penombra, come luogo di coercizione e di corrotta severità, alludendo ad uno scioglimento che resta problematico ed aperto, poco rasserenante.
Da vedere per riflettere.
Nadia Ciambrignoni
Irene Sandroni
Raffaele Piccirillo
Raffaella Zoppi