Venezia 78 – Quinto giorno; domenica 5

Venezia 78
THE LOST DAUGHTER
di Maggie Gyllenhaal
Con: Olivia Colman, Jessie Buckley, Dakota Johnson, Ed Harris, Peter Sarsgaard, Paul Mescal, Dagmara Dominczyk, Alba Rohrwacher (121′)

Opera prima di Maggie Gyllenhaal e tratto da un romanzo di Elena Ferrante (La figlia oscura), il film narra la storia di Leda, madre di due ragazze. Durante un soggiorno in Grecia dove sta passando le vacanze si scontra con una famiglia americana di discendenze greche (dettaglio importante per capire le dinamiche di potere all’interno dei rapporti fra i personaggi). L’avvicinamento a Nina, anche lei madre, farà riaffiorare traumi e ricordi apparentemente dimenticati. La fotografia è molto pulita e, nonostante i colori freddi, riesce a creare empatia con lo spettatore. Si nota un uso frequente di primi e primissimi piani, alcuni anche ben studiati, che danno a tratti una sensazione di soffocamento e che in qualche misura rimandano allo stato d’animo della protagonista. Il tema musicale principale ricorre e accompagna tutta la narrazione. Tema fondamentale del racconto è quello di una maternità disfunzionale (ritorna qui un tema finora abbastanza presente in questa edizione del festival); vengono presentate due figure genitoriali femminili appartenenti a due generazioni diverse ma apparentemente con gli stessi ostacoli da superare. La gestione della situazione in cui si trovano rivelerà le differenze generazionali e sociali che le separano. I personaggi maschili sono divisi in due categorie nette: da una parte figure remissive dall’altra figure prevaricanti. Interessante come la riscoperta sessuale da parte della protagonista sia vissuta come tramite per il riaffermare i propri spazi e ancor più interessante come la regista scelga una rappresentazione della sessualità molto delicata, che non supera mai i limiti. Qualche perplessità sul finale che non convince del tutto e che, probabilmente, si sarebbe risolto con un maggiore impatto se si fosse mantenuta la struttura circolare con riferimento diretto all’inizio della narrazione. Tuttavia, come primo approccio alla regia il risultato è da considerarsi ben riuscito.

Giornate degli Autori
MADELEINE COLLINS
di Antoine Barraud
Con: Virginie Efira, Quim Gutiérrez, Bruno Salomone, Jacqueline Bisset, François Rostain (102′)

Judith è una donna che sembra vivere due vite parallele: una in Francia con marito e due figli e una in Svizzera con un fidanzato e una figlia piccola. L’equilibrio di questo rapporto viene spezzato quando Judith ha un attacco di panico durante una performance del marito francese, direttore d’orchestra. Da quel momento la sua vita subirà un brusco cambiamento e la donna inizierà a mettere in dubbio la sua condotta. In questo prodotto la musica non è solo un espediente narrativo; il sonoro sembra tentare continuamente di instillare tensione nello spettatore, non sempre, però, con successo. La tematica principale è, ancora una volta, la maternità (che sia il fil rouge di questa giornata?), questa volta considerando una figura distante e quindi incapace di ricoprire il ruolo di madre. Il film non presenta particolari spunti di riflessione, anzi finisce per cadere nel banale con un finale poco risolutivo rispetto all’intera vicenda.

Orizzonti
TRUE THINGS
Di Harry Wootliff
Con: Ruth Wilson, Tom Burke, Tom Weston-Jones, Elizabeth Rider, Melissa Neal, Chris Brazier, Robert Goodman, Ram Gupta (102′)

Kate, donna comune sopraffatta dalla monotonia della routine dà una svolta alla sua vita a seguito dell’incontro con un ex detenuto di cui non viene mai menzionato il nome. Durante lo svolgimento del film si assiste all’evoluzione della donna, la quale, comincia a sperimentare modi diversi per sentirsi viva. La protagonista si ritrova così incastrata in un circolo vizioso di appagamento sessuale e dipendenza emotiva da una figura, peraltro evanescente. Dal punto di vista del linguaggio si nota che la fotografia è utilizzata per suggerire il cambiamento della protagonista; la saturazione cromatica varia dai valori estremamente carichi nelle sequenze di sbandamento emotivo, alla desaturazione allorquando si mette in scena l’apatia della quotidianità; sino al bilanciamento nei momenti di lucidità della protagonista. Una scelta analoga si osserva nel diverso ritmo della narrazione e nell’andamento della colonna sonora. Sulla scia della tematica del disagio femminile che ricorre in questa edizione del festival, il film racconta con elaborata semplicità una storia radicata nel reale, come, del resto, suggerisce lo stesso titolo.

Settimana della Critica
MOTHER LODE
Di Matteo Tortone
Con José Luis Nazario Campos, Damian Segundo Vospey, Maximiliana Campos Guzman (86′)

Un ragazzo che lascia la periferia di Lima dove vive con la famiglia per trovare fortuna come minatore nelle Ande. Man mano si rende conto sempre più delle difficoltà di tale vita lavorativa lontano dalla moglie e la figlia comparando le sue giornate con una discesa agli inferi. Elemento che salta all’occhio è la fotografia dalla saturazione molto bassa, tanto che in alcune scene si ha l’impressione di assistere ad una pellicola in bianco e nero. Grazie alla tecnica del pedinamento zavattiniano il regista ci presenta il protagonista dapprima in una situazione vaga per poi approfondire sempre più questo personaggio, dinamica che viene enfatizzata dalla colonna sonora. Il ritmo del racconto, tuttavia, risulta eccessivamente lento, avvicinandosi quasi ai tempi di un documentario.